Ultime dalla Conferenza, e un grande ringraziamento Questo è l’ultimo
bollettino da AIDS 2012, la 19a Conferenza Internazionale
sull’AIDS. Noi di NAM ci auguriamo che la nostra copertura di questa enorme
Conferenza vi sia stata utile.
NAM continua a
pubblicare notizie dalla Conferenza, quindi potrete tenervi aggiornati, oltre
che consultare tutti i report pubblicati finora, su www.aidsmap.com/aids2012. Qui troverete tutte le novità, una serie di notizie raccolte da altre
fonti, una selezione di tweet sulla Conferenza e il blog di NAM.
Sul sito di NAM
sono pubblicati inoltre tutti i bollettini della Conferenza, consultabili online oppure scaricabili
in formato PDF, oltre che in italiano, anche nella versione originale inglese,
e in spagnolo, francese, portoghese e russo.
NAM ha preparato un breve sondaggio online (in inglese) per conoscere le vostre
impressioni sul lavoro di copertura della Conferenza, e vi sarebbe grata se
voleste partecipare.
Cogliamo anche
l’occasione per ringraziare LILA –
Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, la nostra organizzazione partner in Italia, per
l’impegno con cui ha curato le traduzioni giornaliere dei bollettini.
NAM e LILA hanno
collaborato anche per la realizzazione delle traduzioni in italiano del
materiale informativo prodotto da NAM (opuscoli e prospetti informativi),
disponibile nella sezione italiana del sito.
Una tabella di marcia per cambiare il volto alla prevenzione dell’HIV 
Nelly
Mugo dell’Università di Nairobi. © IAS/Ryan Rayburn – Commercialimage.net
Alla Conferenza si è discusso molto circa
l’attuazione di strategie efficaci per la prevenzione dell’HIV.
Negli ultimi anni
è stata raccolta una grande mole di dati sull’efficacia dei nuovi metodi di
prevenzione, come la circoncisione maschile, la profilassi pre-esposizione e il
trattamento ARV come prevenzione.
Una sessione plenaria della Conferenza ha fatto
il punto sui tre fattori chiave per la loro attuazione: l’uso dei dati sulle
nuove infezioni e sulla prevalenza del virus per individuare i gruppi di
popolazione più esposti; un’attenta selezione degli interventi più efficaci in
questi gruppi e la creazione di un sistema di priorità tra essi;
un’implementazione su scala vasta abbastanza da ottenere un vero impatto.
I farmaci generici: un risparmio anche per i paesi ricchi 
Rochelle
Walensky della Harvard Medical School. © IAS/Deborah W. Campos –
Commercialimage.net
L’impiego di farmaci generici nelle
terapie antiretrovirali in un paese come gli Stati Uniti potrebbe consentire di
ridurre i costi di 920 milioni di dollari all’anno, come dimostra un nuovo
studio.
Un farmaco molto
utilizzato nei trattamenti di prima linea è l’Atripla (una combinazione di efavirenz, tenofovir
e FTC), che è attualmente coperto da brevetto.
Tuttavia, l’anno
prossimo scadrà il brevetto sull’efavirenz, come anche quello sul 3TC (lamivudina, Epivir), che è
simile all’FTC (emtricitabina, Emtriva) sia in termini di efficacia che di effetti collaterali.
Gli autori dello
studio hanno calcolato che l’impiego di un generico dell’efavirenz e del 3TC in
combinazione con il tenofovir (Viread)
consentirebbe un risparmio annuale di 4000 dollari a persona, per un totale di
920 milioni di dollari l’anno.
Sono dati che destano molto interesse alla luce
delle crescenti preoccupazioni attorno ai costi del trattamento, anche nei
paesi ricchi.
Un nuovo agente potenziatore equivalente del ritonavir Il nuovo agente farmacologico cobicistat si è
dimostrato equivalente al ritonavir (Norvir)
nel potenziare l’esposizione all’atazanavir (Reyataz), come dimostrano i risultati di una sperimentazione
presentata alla Conferenza di Washington.
L’azione di diversi farmaci anti-HIV, tra cui la maggior parte degli
inibitori della proteasi, viene potenziata tramite l’assunzione di una piccola dose
dell’inibitore della proteasi ritonavir.
Fino a poco tempo fa, il ritonavir era l’unica opzione di potenziamento
disponibile.
Ora, invece, è stato sviluppato un nuovo farmaco, chiamato appunto cobicistat, che a differenza del ritonavir non ha di
per sé alcuna azione antivirale.
I ricercatori hanno analizzato gli outcome di pazienti in trattamento di
prima linea a base
di atazanavir assunto in combinazione con il
cobicistat, raffrontandolo con gli outcome dello stesso trattamento assunto con
il ritonavir.
Dopo 48 settimane di trattamento, le percentuali di coloro che avevano
raggiunto livelli non rilevabili di carica virale
con il cobicistat e quelli con il ritonavir sostanzialmente si
equivalevano (85 contro 87%).
Paragonabili si sono dimostrati anche gli aumenti nella conta dei CD4 e l’insorgenza di effetti
collaterali
associati ai due diversi potenziatori.
L’HIV tra le sex worker 
Cheryl Overs della Monash University. © IAS/Steve Shapiro –
Commercialimage.net
Uno studio ha riscontrato che il rischio di
essere sieropositive per le sex worker è 14 volte superiore a quello delle
altre donne.
Gli autori hanno esaminato i dati sulla prevalenza dell’infezione in 50
paesi, scoprendo che le sex worker presentavano, in paragone a donne della
stessa età, un rischio di essere affette da HIV 14 volte superiore.
Lo studio offre però solo un’immagine parziale dello stato dell’epidemia,
dato che non comprende informazioni sulla prevalenza del virus nelle sex worker
in alcuni paesi dove l’infezione è dilagante.
I ricercatori credono tuttavia che questi risultati sottolineino
l’importanza di attuare programmi di prevenzione mirati alle sex worker, che
secondo i loro calcoli non solo proteggerebbero la salute di queste donne, ma
farebbero anche diminuire di un terzo i tassi di trasmissione dell’HIV.
Frenare l’infezione da HIV tra chi fa uso di droghe per via iniettiva 
Immagine
tratta dalla presentazione di William Zule, che illustra come la foggia della
siringa può incidere sulla quantità di sangue trattenuta e re-iniettata quando
si scambiano siringhe.
Alla Conferenza di Washington è stato
affermato che ridurre i tassi di nuove infezioni da HIV tra i consumatori di
droghe per via iniettiva è di fatto possibile.
Il 30% circa di tutte le
infezioni da HIV colpisce i consumatori di droghe per via iniettiva. Eppure
questo gruppo di popolazione si ritrova spesso ad essere emarginato, stigmatizzato e criminalizzato, il che rende ancora più
difficoltoso il lavoro di prevenzione su di loro.
Ai delegati che hanno partecipato
a questa sessione è stato spiegato come i programmi di raccolta di siringhe
usate e distribuzione di siringhe sterili può notevolmente contrastarne l’uso promiscuo.
In Tagikistan, l’attuazione di
questi cosiddetti “programmi di scambio siringhe” ha portato a una diminuzione
delle nuove infezioni da epatite C e una stabilizzazione dell’incidenza dell’HIV,
con ottimi risultati in termini di rapporto costi-benefici.
Uno studio proveniente dalla Cina
ha però rilevato che spesso era difficile evitare che i questi pazienti
abbandonino i programmi di trattamento con metadone, spesso perché venivano arrestati.
Studi effettuati in Vietnam e
Thailandia hanno invece evidenziato l’effetto positivo, a livello di
prevenzione e limitazione dei comportamenti a rischio, delle iniziative di peer-support (“sostegno tra pari”).
Si spera inoltre che un nuovo
modello di siringa con meno spazio per riassorbire sangue possa contribuire a
ridurre il rischio di trasmissione.
HIV e stigmatizzazione 
Maria
Ekstrand dell’University of California San Francisco. © IAS/Deborah W.
Campos – Commercialimage.net
Come hanno rilevato svariati studi
presentati alla Conferenza di Washington, nel mondo sono moltissimi gli
operatori sanitari che stigmatizzano i pazienti sieropositivi e hanno idee
errate sulle modalità di trasmissione dell’HIV.
Da una ricerca condotta in India
è emerso che il 70% degli operatori sanitari, davanti a un’infezione da HIV, ne
dava la colpa al paziente; molto diffusi sono risultati inoltre i pregiudizi
sulla trasmissione del virus attraverso i comuni contatti quotidiani.
Anche da un altro studio condotto
in Cina è risultato che molti stigmatizzavano e colpevolizzavano i pazienti
sieropositivi: ma gli autori hanno anche evidenziato che il problema può essere
efficacemente risolto attuando specifici programmi educativi.
C’è ancora uno studio, stavolta dall’Uganda, a
conferma del fatto che è possibile cambiare in meglio l’atteggiamento degli
operatori sanitari, soprattutto se gli sforzi sono accompagnati dall’avvio di
programmi terapeutici per l’HIV. Vedere i miglioramenti nella salute dei
pazienti è di incoraggiamento per gli operatori, e li aiuta a capire che l’HIV
non è più una ‘condanna a morte’.
Il vaccino anti-TBC nei bambini 
Heather Jaspan. © IAS/Deborah W. Campos - Commercialimage.net
Stando ai
risultati di un nuovo studio, il vaccino antitubercolare BCG renderebbe i
bambini più suscettibili all’infezione con HIV.
Il BCG è un vaccino praticato di routine ai neonati nei paesi con elevata
prevalenza di tubercolosi, per esempio il Sudafrica.
Da uno studio effettuato proprio in Sudafrica, è però emerso che
l’inoculazione del BCG causa un aumentata attivazione dei linfociti CD4, i bersagli
preferenziali dell’HIV.
Secondo i ricercatori, questi risultati
potrebbero andare a incidere sui programmi di somministrazione di questo
vaccino ai bambini a rischio di contrarre l’HIV, per esempio quelli allattati
da una madre sieropositiva. In partnership with UNICEF
Ancora su bambini e HIV 
Alla conferenza sono state anche presentate nuove ricerche in diversi
altri ambiti molto importanti per i bambini e gli adolescenti:
A tutti gli aggiornamenti in materia di HIV, bambini e famiglie, NAM ha
dedicato una pagina specifica
sul suo sito.
In partnership with UNICEF
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