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Giovedì 2 agosto 2012

Contenuti

Ultime dalla Conferenza, e un grande ringraziamento

Questo è l’ultimo bollettino da AIDS 2012, la 19a Conferenza Internazionale sull’AIDS. Noi di NAM ci auguriamo che la nostra copertura di questa enorme Conferenza vi sia stata utile.

NAM continua a pubblicare notizie dalla Conferenza, quindi potrete tenervi aggiornati, oltre che consultare tutti i report pubblicati finora, su www.aidsmap.com/aids2012. Qui troverete tutte le novità, una serie di notizie raccolte da altre fonti, una selezione di tweet sulla Conferenza e il blog di NAM.

Sul sito di NAM sono pubblicati inoltre tutti i bollettini della Conferenza, consultabili online oppure scaricabili in formato PDF, oltre che in italiano, anche nella versione originale inglese, e in spagnolo, francese, portoghese e russo.

NAM ha preparato un breve sondaggio online (in inglese) per conoscere le vostre impressioni sul lavoro di copertura della Conferenza, e vi sarebbe grata se voleste partecipare.

Cogliamo anche l’occasione per ringraziare LILA – Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, la nostra organizzazione partner in Italia, per l’impegno con cui ha curato le traduzioni giornaliere dei bollettini.

NAM e LILA hanno collaborato anche per la realizzazione delle traduzioni in italiano del materiale informativo prodotto da NAM (opuscoli e prospetti informativi), disponibile nella sezione italiana del sito.

Una tabella di marcia per cambiare il volto alla prevenzione dell’HIV

Nelly Mugo dell’Università di Nairobi. © IAS/Ryan Rayburn – Commercialimage.net

Alla Conferenza si è discusso molto circa l’attuazione di strategie efficaci per la prevenzione dell’HIV.

Negli ultimi anni è stata raccolta una grande mole di dati sull’efficacia dei nuovi metodi di prevenzione, come la circoncisione maschile, la profilassi pre-esposizione e il trattamento ARV come prevenzione.

Una sessione plenaria della Conferenza ha fatto il punto sui tre fattori chiave per la loro attuazione: l’uso dei dati sulle nuove infezioni e sulla prevalenza del virus per individuare i gruppi di popolazione più esposti; un’attenta selezione degli interventi più efficaci in questi gruppi e la creazione di un sistema di priorità tra essi; un’implementazione su scala vasta abbastanza da ottenere un vero impatto.

I farmaci generici: un risparmio anche per i paesi ricchi

Rochelle Walensky della Harvard Medical School. © IAS/Deborah W. Campos – Commercialimage.net

L’impiego di farmaci generici nelle terapie antiretrovirali in un paese come gli Stati Uniti potrebbe consentire di ridurre i costi di 920 milioni di dollari all’anno, come dimostra un nuovo studio.

Un farmaco molto utilizzato nei trattamenti di prima linea è l’Atripla (una combinazione di efavirenz, tenofovir e FTC), che è attualmente coperto da brevetto.

Tuttavia, l’anno prossimo scadrà il brevetto sull’efavirenz, come anche quello sul 3TC (lamivudina, Epivir), che è simile all’FTC (emtricitabina, Emtriva) sia in termini di efficacia che di effetti collaterali.

Gli autori dello studio hanno calcolato che l’impiego di un generico dell’efavirenz e del 3TC in combinazione con il tenofovir (Viread) consentirebbe un risparmio annuale di 4000 dollari a persona, per un totale di 920 milioni di dollari l’anno.

Sono dati che destano molto interesse alla luce delle crescenti preoccupazioni attorno ai costi del trattamento, anche nei paesi ricchi.

Un nuovo agente potenziatore equivalente del ritonavir

Il nuovo agente farmacologico cobicistat si è dimostrato equivalente al ritonavir (Norvir) nel potenziare l’esposizione all’atazanavir (Reyataz), come dimostrano i risultati di una sperimentazione presentata alla Conferenza di Washington.

L’azione di diversi farmaci anti-HIV, tra cui la maggior parte degli inibitori della proteasi, viene potenziata tramite l’assunzione di una piccola dose dell’inibitore della proteasi ritonavir.

Fino a poco tempo fa, il ritonavir era l’unica opzione di potenziamento disponibile.

Ora, invece, è stato sviluppato un nuovo farmaco, chiamato appunto cobicistat, che a differenza del ritonavir non ha di per sé alcuna azione antivirale.

I ricercatori hanno analizzato gli outcome di pazienti in trattamento di prima linea a base di atazanavir assunto in combinazione con il cobicistat, raffrontandolo con gli outcome dello stesso trattamento assunto con il ritonavir.

Dopo 48 settimane di trattamento, le percentuali di coloro che avevano raggiunto livelli non rilevabili di  carica virale  con il cobicistat e quelli con il ritonavir sostanzialmente si equivalevano (85 contro 87%).

Paragonabili si sono dimostrati anche gli aumenti nella conta dei CD4 e l’insorgenza di effetti collaterali associati ai due diversi potenziatori.

L’HIV tra le sex worker

Cheryl Overs della Monash University. © IAS/Steve Shapiro – Commercialimage.net

Uno studio ha riscontrato che il rischio di essere sieropositive per le sex worker è 14 volte superiore a quello delle altre donne.

Gli autori hanno esaminato i dati sulla prevalenza dell’infezione in 50 paesi, scoprendo che le sex worker presentavano, in paragone a donne della stessa età, un rischio di essere affette da HIV 14 volte superiore.

Lo studio offre però solo un’immagine parziale dello stato dell’epidemia, dato che non comprende informazioni sulla prevalenza del virus nelle sex worker in alcuni paesi dove l’infezione è dilagante.

I ricercatori credono tuttavia che questi risultati sottolineino l’importanza di attuare programmi di prevenzione mirati alle sex worker, che secondo i loro calcoli non solo proteggerebbero la salute di queste donne, ma farebbero anche diminuire di un terzo i tassi di trasmissione dell’HIV.

Testa a testa tra inibitori dell’integrasi

L’inibitore dell’integrasi sperimentale elvitegravir è equivalente al raltegravir (Isentress), l’unico farmaco approvato di questa classe: lo dimostra una nuova ricerca.

Un possibile vantaggio dell’elvitegravir è che prevede un’assunzione monogiornaliera. Al contrario, il raltegravir è uno dei pochi antiretrovirali che vanno assunti due volte al giorno.

I ricercatori hanno raffrontato il profilo di sicurezza e di efficacia delle due sostanze in un arco di tempo di due anni. I partecipanti allo studio erano tutti pazienti già in precedenza trattati con la terapia antiretrovirale.

I risultati ottenuti con l’uno e con l’altro farmaco erano paragonabili in termini di soppressione virale, aumento dei CD4 e insorgenza di effetti collaterali.

Frenare l’infezione da HIV tra chi fa uso di droghe per via iniettiva

Immagine tratta dalla presentazione di William Zule, che illustra come la foggia della siringa può incidere sulla quantità di sangue trattenuta e re-iniettata quando si scambiano siringhe.

Alla Conferenza di Washington è stato affermato che ridurre i tassi di nuove infezioni da HIV tra i consumatori di droghe per via iniettiva è di fatto possibile.

Il 30% circa di tutte le infezioni da HIV colpisce i consumatori di droghe per via iniettiva. Eppure questo gruppo di popolazione si ritrova spesso ad essere emarginato, stigmatizzato e criminalizzato, il che rende ancora più difficoltoso il lavoro di prevenzione su di loro.

Ai delegati che hanno partecipato a questa sessione è stato spiegato come i programmi di raccolta di siringhe usate e distribuzione di siringhe sterili può notevolmente contrastarne l’uso promiscuo.

In Tagikistan, l’attuazione di questi cosiddetti “programmi di scambio siringhe” ha portato a una diminuzione delle nuove infezioni da epatite C e una stabilizzazione dell’incidenza dell’HIV, con ottimi risultati in termini di rapporto costi-benefici.

Uno studio proveniente dalla Cina ha però rilevato che spesso era difficile evitare che i questi pazienti abbandonino i programmi di trattamento con metadone, spesso perché venivano arrestati.

Studi effettuati in Vietnam e Thailandia hanno invece evidenziato l’effetto positivo, a livello di prevenzione e limitazione dei comportamenti a rischio, delle iniziative di peer-support (“sostegno tra pari”).

Si spera inoltre che un nuovo modello di siringa con meno spazio per riassorbire sangue possa contribuire a ridurre il rischio di trasmissione.

HIV e stigmatizzazione

Maria Ekstrand dell’University of California San Francisco. © IAS/Deborah W. Campos – Commercialimage.net

Come hanno rilevato svariati studi presentati alla Conferenza di Washington, nel mondo sono moltissimi gli operatori sanitari che stigmatizzano i pazienti sieropositivi e hanno idee errate sulle modalità di trasmissione dell’HIV.

Da una ricerca condotta in India è emerso che il 70% degli operatori sanitari, davanti a un’infezione da HIV, ne dava la colpa al paziente; molto diffusi sono risultati inoltre i pregiudizi sulla trasmissione del virus attraverso i comuni contatti quotidiani.

Anche da un altro studio condotto in Cina è risultato che molti stigmatizzavano e colpevolizzavano i pazienti sieropositivi: ma gli autori hanno anche evidenziato che il problema può essere efficacemente risolto attuando specifici programmi educativi.

C’è ancora uno studio, stavolta dall’Uganda, a conferma del fatto che è possibile cambiare in meglio l’atteggiamento degli operatori sanitari, soprattutto se gli sforzi sono accompagnati dall’avvio di programmi terapeutici per l’HIV. Vedere i miglioramenti nella salute dei pazienti è di incoraggiamento per gli operatori, e li aiuta a capire che l’HIV non è più una ‘condanna a morte’.

La terapia antiretrovirale nei pazienti che assumono farmaci antitubercolari

Una dose giornaliera di 800mg dell’inibitore dell’integrasi raltegravir (Isentress) è una buona alternativa all’NNRTI efavirenz (Sustiva, contenuto anche nell’Atripla) nei pazienti in cura per la tubercolosi.

La terapia antitubercolare dà buoni risultati nei pazienti sieropositivi, ma possono verificarsi interazioni tra alcuni antiretrovirali e i farmaci utilizzati per il trattamento della tubercolosi.

Già in passato degli studi avevano riscontrato che uno degli antitubercolari chiave, il rifampicin, andava a interferire con il raltegravir, diminuendone i livelli.

Per ovviare al problema, i ricercatori hanno provato a raddoppiare la dose standard di raltegravir, portandola a 800mg al giorno.

È risultato che i pazienti a cui è stata somministrata la dose raddoppiata avevano le stesse probabilità di sopprimere la carica virale di quelli in trattamento con l’efavirenz.

Il vaccino anti-TBC nei bambini

Heather Jaspan. © IAS/Deborah W. Campos - Commercialimage.net

Stando ai risultati di un nuovo studio, il vaccino antitubercolare BCG renderebbe i bambini più suscettibili all’infezione con HIV.

Il BCG è un vaccino praticato di routine ai neonati nei paesi con elevata prevalenza di tubercolosi, per esempio il Sudafrica.

Da uno studio effettuato proprio in Sudafrica, è però emerso che l’inoculazione del BCG causa un aumentata attivazione dei linfociti CD4, i bersagli preferenziali dell’HIV.

Secondo i ricercatori, questi risultati potrebbero andare a incidere sui programmi di somministrazione di questo vaccino ai bambini a rischio di contrarre l’HIV, per esempio quelli allattati da una madre sieropositiva.

In partnership with UNICEF

Ancora su bambini e HIV

Alla conferenza sono state anche presentate nuove ricerche in diversi altri ambiti molto importanti per i bambini e gli adolescenti:

A tutti gli aggiornamenti in materia di HIV, bambini e famiglie, NAM ha dedicato una pagina specifica sul suo sito.

In partnership with UNICEF

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